REFERENDUM 17 APRILE, Unica speranza per il nostro paese -Nicola Ialacqua

In Italia la democrazia sta pian piano svanendo.

Tutti ce ne siamo accorti, ma nessuno fa qualcosa per cambiare le cose.

Tutti se ne lamentano, tutti ne parlano, ma nessuno agisce.

E quando finalmente arriva l’occasione per riscattarsi, per fare di questo paese qualcosa di più, nessuno si muove.

Oggi abbiamo la possibilità di non farci sfruttare ancora, di realizzare qualcosa per un futuro migliore, ma c’è chi cerca in tutti i modi di fermare questo cambiamento.

Il 17 Aprile si terrà il referendum denominato “NoTriv”. Con questo referendum abrogativo “si richiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo”. Oggi infatti non esiste più alcun limite per le società petrolifere, in quanto quest’ultime possono essere sfruttate FINO A QUANDO LO DESIDERANO, cioè fino all’esaurimento del giacimento stesso.

Ma perché fermare tutto questo? Perché non lasciar fare alle società petrolifere il loro lavoro? Perché non far usare a queste ultime i giacimenti, visto che vi sono ancora idrocarburi lì sotto?

Cominciamo con il concetto chiave di questo articolo: fermare le trivellazioni porterebbe solo vantaggi per il nostro paese, ed ora vi spiego il perché.

*** Innanzitutto, L’ITALIA NON HA BISOGNO DI QUEL PETROLIO

Tramite una ricerca del Ministero dello Sviluppo Economico siamo infatti venuti a sapere che il petrolio ed il gas che vi sono nel sottosuolo marino sono del tutto insufficienti per coprire il fabbisogno italiano (considerando il petrolio sottomarino, esso basterebbe solo per 7 settimane, mentre le riserve di gas per 6 mesi). La produzione italiana di petrolio corrisponde solo al 7% del nostro consumo totale, mentre il rimanente 93% è importato dall’estero.

Con questi dati abbiamo smontato una delle argomentazioni avanzate da quei gruppi che portano avanti l’astensione dal referendum.

Bisogna anche ricordare loro che le società private SONO PROPRIETARIE DI TUTTO CIO’ CHE ESTRAGGONO, e versano allo stato solo il 7% di petrolio ed il 10% di gas estratti. Le royalty inoltre, nell’ultimo anno, hanno versato nelle casse dello stato SOLO 340 MILIONI DI EURO da tutti gli idrocarburi estratti.

Insomma, tutto questo sblocco dell’economia italiana grazie alle trivelle che millantano tanto questi comitati per il “No” non esiste.

Parliamo adesso di un argomento che sta particolarmente a cuore a tutti i comitati per il “No” o per l’astensione al referendum:

I POSTI DI LAVORO.

In Italia c’è crisi, risulta palese che molti negozianti stanno pian piano chiudendo i battenti, che la disoccupazione oggi ha raggiunto livelli esorbitanti (si parla di un tasso di disoccupazione giovanile pari al 37,9%, mentre nell’Eurozona il tasso disoccupazione giovanile è del 23%), sappiamo tutti che oggi avere un posto di lavoro significa essere un “eletto”, ma non è questa un’argomentazione valida per sostenere le trivellazioni: c’è chi sostiene infatti che il referendum “può produrre esiti che ricadranno sui nostri lavoratori, sulla loro occupazione” (dichiarazione di Emilio Miceli, segretario generale della Filctem Cgil). C’è chi parla di addirittura 10.000 posti di lavoro che andranno perduti.

Innanzitutto, con la vittoria del Sì è ovvio che non si interromperanno immediatamente tutte le trivellazioni, ma essa sancirà un limite alle società petrolifere, ovvero il termine di scadenza delle loro concessioni.
Inoltre, secondo il Governo le trivelle porteranno a 25.000 nuovi posti di lavoro.

Solita balla del PD: l’industria del petrolio NON E’ AD ALTA INTENSITA’ DI LAVORO.

Si pensi, per esempio, che la Saudi Aramco, il gigante di stato saudita che controlla le intere riserve e produzioni di petrolio e gas dell’Arabia Saudita, impiega circa 50 mila persone (molte delle quali solo per motivi sociali) per gestire una capacità produttiva che, nel petrolio, è oltre sette volte il consumo italiano, mentre nel gas è superiore del 40% al fabbisogno nazionale” (dichiarazione di Leonardo Maugeri, uno dei massimi esperti al mondo del settore petrolifero).

Cos’è che invece porta molti più posti di lavoro? Le energie rinnovabili. Come? Secondo un recente studio dello UK Energy Research Centre (UKERC) le energie rinnovabili sono capaci di creare 10 VOLTE I POSTI DI LAVORO PRODOTTI DALLE ENERGIE FOSSILI.

Quindi mi dispiace, cari sostenitori del No, ma le vostre care trivelle non saranno mai capaci di procurare il fabbisogno lavorativo promesso.

Parliamo invece di un argomento che questi “Ottimisti e Razionalisti” (si, il fronte del No è rappresentato principalmente da un comitato con questo nome, dimostrando di non aver ben compreso nessuno dei due termini) molto spesso tralasciano ritenendolo di poco conto:

L’INQUINAMENTO

A loro avviso è infatti futile parlare di inquinamento in quanto le trivelle di cui si parla nel referendum si trovano a 12 miglia dalle coste, e quindi non vengono considerate capaci di causare disastri ambientali come quello del Golfo del Messico del 2010.

E’ vero, un disastro ambientale di quella portata non potrebbe mai accadere qui in Italia.

Ma qualcuno si è chiesto che impatto ambientale hanno giornalmente le trivelle off-shore (ovvero quelle sul mare)? Ovviamente a questa domanda non è il Governo a rispondere, ma Greenpeace, che ha richiesto lo scorso luglio al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) di prendere visione dei dati relativi ai monitoraggi ambientali effettuati in prossimità di queste piattaforme.

Purtroppo il Ministero ha fornito solo i dati relativi alle piattaforme che si trovano nell’Adriatico, ovvero solo 34 rispetto alle oltre 130 piattaforme operanti in Italia. I dati, forniti dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), si basano su analisi chimico-fisiche su campioni di acqua, sedimenti marini e mitili (le cozze, per intenderci).

Per comprendere i dati è necessario innanzitutto spiegare cosa sono le acque di produzione. Durante la fase di coltivazione di idrocarburi, vengono estratti grandi quantitativi di acqua che si trovano nel pozzo, la cosiddetta “acqua di formazione”. Queste sono ricche di numerose sostanze inquinanti, visto che sono state a contatto con i giacimenti di idrocarburi per migliaia di anni. Durante la fase di estrazione viene inoltre usato un ingente quantitativo di acqua per permettere la risalita in superficie del combustibile, chiamata “acqua di processo” (ovviamente anche questa presenta un elevata quantità di sostanze inquinanti). Queste formano insieme le acqua di produzione. Da queste vengono recuperati gran parte degli idrocarburi tramite vari processi, ed in seguito esse possono essere immesse in mare.

Ovviamente prima delle re-iniezione in mare però queste acque devono essere opportunamente trattate e devono essere controllate tramite un Piano di Monitoraggio redatto dalle compagnie che hanno la concessione per lo sfruttamento del giacimento. I risultati di tutte le analisi effettuate vengono prima trasmesse al MATTM, per poi essere sottoposto ad una valutazione tecnico scientifica dell’ISPRA. Ed è proprio qui che troviamo il primo problema: l’Eni, nel 2014, ha messo in atto un bando di gara per effettuare i monitoraggi ambientali delle proprie piattaforme off-shore, ed indovinate chi lo ha vinto?Proprio l’ISPRA.

L’ISPRA dovrebbe essere un organo super-partes, ed invece qui la ritroviamo incastrata in un paradosso: essa VALUTA I PIANI DI MONITORAGGIO DELL’ENI  CHE ESSA STESSA REDIGE ED ESEGUE! Ciò in verità non sarebbe illegale, ma mi sembra spontaneo farsi un minimo esame di coscienza su questi Piani di Monitoraggio…

In qualunque caso, passiamo ai dati ben più allarmanti.

Il limite che le piattaforme off-shore devono rispettare è l’SQA, lo Standard di Qualità Ambientale. 

Prendiamo in esame queste piattaforme e il consequenziale rispetto verso questo SQA secondo i tre parametri dell’analisi: 

Per quanto riguarda l’acqua, i dati dimostrano che le attività collegate all’estrazione di idrocarburi immettono direttamente nell’ambiente un’ingente quantità di sostanze inquinanti e dannose per l’ambiente. Ma facciamo qualche esempio pratico.

  • Si è calcolato che, ad esempio, la piattaforma Brenda ha immesso nell’ambiente 47.292 metri cubi di acque di produzione, riversando in mare circa 335 kg di ferro.
  • La piattaforma Annabella ha scaricato in mare 19.043 metri cubi  di acque di produzione, riversando in mare 635 kg di ferro, 42 kg di oli minerali e 1 kg di arsenico.

Questi pochi dati sono sufficienti per un’idea di insieme.

Per quanto riguarda i sedimenti, i dati non sono meno preoccupanti: delle 33 piattaforme prese in esame circa il 76% vanno ben oltre i limiti dell’SQA per un parametro, mentre il 67% per due. I composti che superavano i limiti imposti dalla legge sono metalli pesanti come il piombo, il nichel, il cromo e diversi idrocarburi come il fluorantene. Il più delle volte esiste quindi un impatto ambientale elevato in diverse piattaforme off-shore.

Per quanto riguarda i mitili, i dati si mantengono allarmanti: l’86% dei mitili analizzati superavano la concentrazione di mercurio massima identificata dagli SQA. Per non parlare degli altri metalli pesanti: prendendo come modello dei mitili raccolti nell’area non inquinata di Portonovo, i risultati mostrano che l’82% dei campioni di mitili raccolti nei pressi delle piattaforme presentano valori molto più alti di cadmio, di selenio e di zinco, bario, cromo ed arsenico.

Ora vi starete chiedendo: se i dati sono così catastrofici, perché non sono mai stati presi dei provvedimenti? È proprio per questo che abbiamo precedentemente spiegato chi dovrebbe prendere i provvedimenti. E ricordate chi fa i piani di monitoraggio per l’Eni? Tutto semplice come una banale addizione.

La seconda domanda che sicuramente vi sarete posti è: come fanno quelle sostanze inquinanti ad arrivare fino a me? Semplice: tramite la catena alimentare. I mitili, ad esempio, accumulano nei loro tessuti tutti quei metalli pesanti, così da risalire la catena alimentare fino all’uomo in modo diretto.  Per quanto riguarda i sedimenti invece, essi possono avere un forte impatto sugli ecosistemi marini, e di conseguenza queste sostanze inquinanti possono trasferirsi negli organismi viventi che noi mangiamo solitamente. A scanso di equivoci vi invito a leggere e ad analizzare voi stessi il report di GreenPeace dal quale sono state attinte tutte le informazioni, ovvero “Trivelle fuorilegge-Uno studio sull’inquinamento provocato dalle attività estrattive in Adriatico”, così che voi possiate constatare con i vostri occhi questi dati.

Prendiamo in esame un’altra argomentazione atta a svilire il referendum:

Voi siete tanto per le energie rinnovabili, ma intanto il vostro cellulare, il vostro computer, i vostri vestiti e tutto quello che utilizzate è tutto derivato dal petrolio”.

Quest’affermazione che ho sentito spesso ripetere sui social NON HA ALCUN SENSO e UCCIDE L’UMANA RAGIONE.

Innanzitutto, la maggior parte delle piattaforme che vengono toccate dal referendum NON ESTRAGGONO PETROLIO, MA SOLO GAS.

Lo sappiamo, oggi utilizziamo il petrolio per qualsiasi cosa: plastica, asfalto, gasolio, oli combustibili, benzina e così via.

Il petrolio ha effettivamente delle qualità per le quali oggi utilizziamo così tanto petrolio: alto potere calorifico, facilità di trasporto, flessibilità.

Ma per chi è veramente comodo il petrolio? Per quei pochi che ci speculano sopra.

La politica energetica del nostro paese è totalmente governata dalle multinazionali, quest’oro nero ha negli anni corrotto l’uomo, ha condizionato il parlamento e le leggi, ha cambiato le sorti della geopolitica mondiale, ha scatenato guerre, ha spesso giustificato atti disumani come l’utilizzo di forze militari in determinati paesi solo per detenere i pozzi petroliferi che vi sono in determinati territori.

Insomma, l’oro nero ha creato solo distruzione, in tutti i campi.

Ma continuano a dire che sia “indispensabile”, che “non possiamo farne a meno”.

Forse in questo preciso istante no, ma sapete quanti materiali potremmo utilizzare al posto di questo combustibile fossile?

Ve ne do un semplice esempio: la canapa.

La canapa è una pianta dal fusto alto e sottile, che può superare i 4 metri d’altezza. Troviamo al suo interno una parte fibrosa (detta tiglio) ed una parte legnosa (detta canapolo).

Cosa possiamo fare con questa pianta? Di tutto.

Ma passiamo a degli esempi concreti.

In molti sono a favore del petrolio perché solo tramite questo possiamo produrre il carburante per le nostre macchine, la benzina.

Ecco, la canapa può tranquillamente sostituirla tramite una lavorazione di quest’ultima detta “pirolisi”. Questa tecnica consiste nell’applicare un forte calore alla materia organica così da produrre carbonella, liquidi organici condensabili, gas non condensabili, acido acetico, acetone e metanolo. Tramite quest’ultimo possiamo realizzare un ottimo carburante per le automobili ad impatto praticamente zero sull’ambiente.

Volete un altro esempio del suo utilizzo?

I tessuti. Tramite la tessitura della canapa si possono creare moltissimi tessuti da utilizzare per qualsiasi cosa: tappeti, asciugamani, mantelli, camice, pantaloni, maglie, zaini, valigie, poltrone.

La stoffa della canapa è completamente naturale e vegetale, è ottenuta con processi naturali ed è praticamente eterna.

Con la canapa possiamo anche produrre carta, semi ed olii, materie plastiche.

Ma se la canapa ha tutti questi utilizzi, perché oggi non la sfruttiamo?

Prima in Italia vi erano piantagioni vastissime di canapa: nel 1910 solo in Emilia-Romagna vi erano 45.000 ettari di terreno coltivati a canapa, ed in tutta Italia erano complessivamente 80.000 ettari.

Veniva sfruttata soprattutto per realizzare corde e tessuti vari.

La coltivazione ha però subito una crisi in quanto la concorrenza (come il cotone e le fibre sintetiche) era molto più conveniente.

Ma una delle difficoltà più grandi fu il restringimento della normativa contro gli stupefacenti, che portò al divieto totale della coltivazione della canapa indiana. Ovviamente le due specie di cannabis saranno pur simili morfologicamente, ma contengono una profonda diversità a livello di THC, il principio attivo che ha effetti stupefacenti. Con una ci crei tutto ciò di cui abbiamo bisogno, con l’altra ti “svaghi”.

Insomma, le soluzioni ci sono e sono molteplici, ma non le adottiamo perché il petrolio, si sa, è più conveniente per le tasche dei vari politici corrotti e multinazionali del petrolio e, soprattutto, è il combustibile del capitalismo.

Se ciò non bastasse a convincervi, vi invito a riflettere sui RECENTI FATTI DI CRONACA.

Prima di tutto, parliamo del PD. Il Partito Democratico non si è schierato né per il Sì, né per il No, ha scelto una politica tutta sua: l’astensione al voto. Rendiamoci conto: il partito DEMOCRATICO invita i suoi elettori a NON ANDARE A VOTARE, negando un gesto importante e ottenuto con fatica come il Referendum.  Dove sta la democrazia in tutto questo? Dove stanno tutti gli ideali di cui ci si riempie la bocca? Il Referendum è uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che sono rimasti a questo paese, ed è il partito che si definisce DEMOCRATICO a volerne svilire l’importanza così? Certo, è ovvio che non tutto il PD ha appoggiato questa decisione, ma stiamo sempre parlando di una minoranza che, a quanto pare, andrà a votare.

È emblematico anche il caso della Basilicata: la procura di Potenza ha infatti portato avanti delle indagini sul Centro oli dell’Eni a Vigiano, sull’impianto Total di Tempa Rossa e sul porto di Augusta che hanno fatto tremare il governo Renzi.

Sono state sei le persone arrestate, fra qui l’ex sindaco del Partito Democratico, con l’accusa di “presunti illeciti nella gestione dei reflui petroliferi”.

L’Eni ha infatti falsato i dati relativi ai rifiuti provocati dalla lavorazione del petrolio, riversati in un centro detto “Tecnoparco” di Pisticci, un luogo per niente adatto allo smaltimento dei rifiuti particolari e che ha creato un ingente danno ambientale.

La Procura di Potenza sta inoltre portando avanti un’indagine sulla diffusione dei tumori in Basilicata, poiché  «Una recente indagine dell’Ufficio statistica dell’Istituto superiore di sanità, trasmessa alla regione Basilicata, segnala sul territorio regionale, e in particolare in Val d’Agri, un eccesso di mortalità per tumori allo stomaco e per leucemie» ed è «assolutamente verosimile un nesso tra l’aumentata mortalità per alcune patologie sul territorio e l’inquinamento ambientale». (dichiarazione di Roberto Romizi, presidente dell’Associazione medici per l’ambiente).

Uno dei filoni delle indagini rifletteva inoltre su un emendamento che sarebbe servito a potenziare il giacimento Tempa Rossa della Total, emendamento che era stato bocciato nello Sblocca Italia ma che è magicamente risorto nella Legge di Stabilità. Questo emendamento era stato propagandato dal ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi per un motivo ben preciso: la Guidi infatti è presente più e più volte nelle carte dell’inchiesta sugli impianti petroliferi Eni in Basilicata soprattutto per delle telefonate intercettate con il compagno Gianluca Gemelli nelle quali parlavano proprio di quell’emendamento voluto fortemente da quest’ultimo poiché avrebbe favorito la Total con cui è in rapporti di affari.  La Guidi non ha tardato quindi a rassegnare le sue dimissioni dal governo Renzi, il quale le ha tempestivamente accettate.

Che dire, grazie per averci dato una mano per sensibilizzare la popolazione e farla votare per il Sì il 17 Aprile.

E’ anche contro questo infatti che il 17 si andrà a votare, per bloccare gli interessi dei petrolieri che, come vediamo, vengono favoriti dal governo stesso.

Concludo dicendovi che non sono un esperto in questo settore, ma proprio per l’importanza di questo referendum ho trovato essenziale informarsi, ho letto le più disparate notizie ed informazioni sul settore petrolifero, sull’impatto ambientale che hanno le trivelle sui nostri mari, sul rivoltante business che sta alla base delle trivellazioni, ho letto anche moltissime opinioni di giornalisti ed esperti che stanno dalla parte del “No”. Ho fatto ciò che un individuo, prima di andare a votare, dovrebbe fare.

E anche se non ho ancora l’età per votare, sono arrivato a questa conclusione: il referendum è l’unica alternativa che abbiamo per provare a sbloccare l’Italia, per spostarci verso delle energie rinnovabili, per spingere il governo ad investire su quest’ultime, per abbandonare piano piano del tutto i combustibili fossili, per fermare questo traffico di quattrini che gira attorno alle trivelle, per non distruggere ancor di più il nostro territorio.

Per un’Italia migliore, per un paese più pulito, VOTATE SI’.

Nicola Ialacqua, Messina, Liceo G.La Farina IIB

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