Tra le ampie gonne a righe di una qualche giovane cameriera di un qualche piccolo ristorante parigino, crocevia di tante notti e tanti lustri, vien servito un caffè ancora fumante adagiato su un tavolino che mostra avere avuto giorni migliori. Dopo aver riscaldato le mani tra le calde pareti della familiare tazzina di porcellana azzurra, seguito con lo sguardo il volteggiare delle scie di fumo che contorcendosi si dissolvono nel nulla, vi si intravedono ai lati delle strade mazzi di fiori appena colti, appena freschi, che allietano gli sguardi dei curiosi, dei passanti, svegliatisi in questa nuova giornata radiosa nel cuore della magica Paris. Ella, incantata ed incantatrice, tra i profumi del pane appena sfornato, l’odore amaro dei caffè, le risate dei giovani ed il calpestio delle suole a contatto con l’asfalto, riveste solo la cornice della misteriosa capitale. E sempre da un qualche ristorante proverranno le melodie farraginose di un vinile, sul piatto di un grammofono, e tra le dolci, lontane, stanche note di un pezzo dell’ultimo grande cantante in voga, prenderà piede uno dei più coinvolgenti cantautori del secolo scorso, tra i croissant, le riverenze di giovani innamorati, che chiedono la mano, che porgono il braccio e promettono amore eterno, di fronte una Tour Eiffel in fiore, dall’alto della sua immensità, così ammirata e così desiderata dagli occhi del mondo intero.
Tra i tumultuosi primi anni del secolo scorso, perennemente in bilico tra la vita e la morte presi dallo scagliar una guerra dopo l’altra, uno scorcio della straordinaria capitale francese veniva immortalata per sempre dalla calda, intramontabile voce di Charles Trenét (Narbonne 1913- Créteil 2001) come una vecchia fotografia ‘in bianco e nero’ ingiallita dall’avido flusso del tempo che tutto trascina via al suo passaggio, come la vecchia fotografia citata nei pezzi del sottoscritto divulgatasi per il globo inneggiando all’amore per la propria patria e verso l’immensa bellezza delle arti. Tra i pezzi che divennero in breve tempo celeberrimi vi fu “Que rest-t-il de nos amours”, nonostante quei duri anni quali furono quelli della Seconda Guerra Mondiale che interruppero la propria carriera musicale dando non poche noie a colui che la Francia vide crescere e morire diffondendo, tramite l’uso della musica, la gioia di vivere: verrà sospettato d’essere ebreo e la GESTAPO sarà causa di svariate avversità poste sul cammino di Charles.
Tra il 1946 ed il 1951 l’apice della sua fama si dividerà tra le città d’origine europee ed il Nord America, raggiungendo anche la nostra Roma dalla quale venne conosciuto come “Lo Fou Chantant”(Il cantante folle). Per far meglio comprendere il carattere universale delle parole trasmesse dalla musica di Charles Trenèt, altro brano manifesto del cantautore quale “La Mer”(Il mare), divenne sigla d’apertura e chiusura di Radio Tokyo nel 1945.
Grande fu il genio e l’acume d’egli che alimentò il diffondersi di miti e leggende relativi alla composizione delle sue opere, ognuna d’esse destinate a divenire immortali, vittoriose su qualsiasi barriera temporale, etnica e geografica, vigorosi nella propria vivacità e spontaneità, tanto stregò il pubblico mondiale. Sempre riguardanti “La Mer” egli rivelò d’aver dato vita al testo della suddetta opera in dieci minuti, su un treno del 1943 da ritorno da Parigi a Narbonne e come materiale scrittorio della carta igienica fornita dalla SNCF(corporazione nazionale delle ferrovie francesi).
Soffermiamoci invece sulle parole estrapolate dal brano citato in precedenza, “Que rest-t-il de nos amours”, il quale andrebbe inserito all’interno della lista dei brani da dover ascoltare da ognuno, almeno una volta nella vita, prima di morire. Ripercorrendo assieme a Charles i ricordi d’animo inquieto di quel che fu un tempo un giovane innamorato, vien catapultato l’ascoltatore all’interno del tripudio d’odori e colori quali quelli dello spaccato quotidiano di Parigi, che vien immortalato per sempre in una foto, unica traccia e prova indelebile degli amori passati. Essi che venivan vissuti tra la gioia e la rinascita la cui forza pari unicamente alle giornate dei mesi d’aprile, tra quei “buongiorno” scambiati tra il tepore primaverile da un passante all’altro, dei dolci biglietti suggellanti amori eterni della giovinezza ormai sfiorita. Ed in una sera d’autunno in cui il vento riscuote e percuote la mente e un fuoco che lentamente si spegne, battendo alla porta di una casa che rabbrividisce vittima del freddo pungente, egli rimembra la felicità svanita, i capelli al vento, i baci rubati, i sogni instabili di un cuore instabile. “Que rest-t-il de tout cela/dites-le-moi (Cosa resta di tutto questo/ditemelo)”.
“Les mots, les mots “Le parole, le tenere
tendres qu’on murmure/ parole che si mormorano/
les caresses, les plus pures/ le carezze, le carezze più pure/
les serments au fond de bois/ I giuramenti nel fondo dei boschi/
les fleurs qu’on retrouve dans un livre/ I fiori che si ritrovano in un libro/
dont le parfum vous enivre/ di cui il profumo vi inebria/
Se son evolés/pourquoi?” Sono spariti, perchè?”
Alessia Mesiti IC